Dietro il marchio

Parte prima: intervista esclusiva con Deanna Gerlach, collaboratrice di Sea to Summit

Part One: Exclusive Interview with Sea to Summit Collaborator, Deanna Gerlach

Sea to Summit è felice di presentarti la sua prima famiglia di collaboratori.

Deanna Gerlach, Tom Gerlach e i loro tre figli sono i meravigliosi protagonisti dell'account @noodlesforbrekky, in cui la famiglia documenta avventure, viaggi ed esperienze all'aria aperta.

Sea to Summit ha la fortuna di aver collaborato con i Gerlach a un progetto creativo in Nuova Zelanda, culminato con il lancio della nuovissima tenda IKOS con Tension Ridge.

I cinque membri della famiglia hanno percorso circa 3000 km a piedi lungo il sentiero Te Araroa; un esperienza, questa, che li ha condotti per sei mesi lontano dalla vita cittadina in un'avventura outdoor con la nostra tenda al seguito.

Inoltre, in considerazione della ricorrenza della Giornata internazionale della donna, abbiamo pensato che fosse l'occasione perfetta per il team di marketing globale per fare una chiacchierata con Deanna, fotografa d'avventura con una passione smodata per le escursioni.  

Questa piacevole intervista ci ha dato la possibilità di approfondire molti temi, come l'impatto positivo che un viaggio nella natura può avere su una famiglia, le dure lezioni apprese lungo il percorso, i consigli per chiunque desideri intraprendere un tragitto di questo tipo e tanto altro ancora.

Data la quantità di argomenti trattati, abbiamo deciso di dividere l'intervista in due parti (la seconda parte sarà pubblicata domani, perciò ti consigliamo di tenere gli occhi aperti sulla nostra sezione del blog in primo piano).

E ora, bando alle ciance! Ecco la prima parte della nostra chiacchierata con Dee. Speriamo sia di tuo gradimento!

D: In che modo la tua infanzia ha condizionato la tua passione per la vita all'aria aperta e l'avventura?

A: I miei hanno sempre avuto un atteggiamento positivo e hanno sempre fatto di tutto per evitare che le difficoltà economiche o le interminabili ore di lavoro ostacolassero la vita all'aperto e le nuove esperienze. Ricordo molte avventure "low cost" con i miei tre fratelli e, spesso e volentieri, anche con i nostri cugini.

In queste occasioni mi sono resa conto che, benché avrebbero preferito starsene a letto a leggere, mamma e papà hanno sempre trovato la motivazione per alzarsi e uscire, indipendentemente dal fatto che si trattasse di svolgere attività in casa, nel capannone o nei paddock o, ancora, di partire tutti insieme in "missione".

Abbiamo trascorso svariate ore in acqua alla scoperta di tratti costieri, accampandoci su dune di sabbia senza tenda, costruendo capanne e andando in deltaplano. A proposito: papà ha riparato dei deltaplani di seconda mano sostituendo le parti danneggiate con dei nuovi pezzi di ricambio. Ma non solo: ha costruito per noi uno yacht di terra e, riciclando il vecchio motore di un tosaerba, anche la piccola moto con cui abbiamo imparato a guidare un mezzo a due ruote.

Con tutto il parco nazionale a disposizione dietro casa, anche l'infanzia di Tom è stata all'insegna della libertà. Il motivo per cui lui è sempre così energico e socievole è dovuto alla sua famiglia, che lo ha sempre spinto a praticare sport e a trascorrere il tempo libero all'aria aperta con altre famiglie. Siamo davvero una bella squadra.

 

D: Cosa ti ha spinto e ispirata ad attraversare la Nuova Zelanda con la tua famiglia, percorrendo quasi 3000 km a piedi? 

A: Sono tantissime le ragioni che hanno portato me e Tom a essere abbastanza coraggiosi da lanciarci in questa epica avventura di sei mesi. Tutto è iniziato con una grande voglia di avventure e viaggi. Quel desiderio è rimasto intatto man mano che ci siamo fatti strada nel mondo del lavoro, mettendo su famiglia e trascorrendo i fine settimana a bordo campo durante le partite dei nostri piccoli. Certo, amavamo quella vita, adoravamo soprattutto la nostra comunità, ma eravamo entrambi giunti alla conclusione che c'era qualcosa che non andava. 

La morte dei miei genitori in un incidente d'auto, proprio quando erano ormai prossimi alla pensione, ci ha sconvolto nel profondo. Siamo sempre stati molto vicini a loro; erano in forma e in salute. Avevano solo 63 anni e fremevano dalla voglia di vivere gli anni davanti a loro. 

Situazioni del genere possono farti sprofondare, ma attraversarle e capire cosa significhi sentirsi persi e depressi ha comunque un senso. Nel continuo tentativo di tenerti a galla con tutte le tue forze, sembra quasi che inizi a vedere la vita con occhi nuovi. Non nego che tutto questo potrebbe anche portare a un'intolleranza estrema! Beh, di sicuro sono diventata intollerante a cose con cui non mi sentivo più in sintonia. 

Io e Tom parlavamo costantemente di avventure da fare con i bambini, magari di un viaggio intorno all'Australia, esattamente come ho fatto io con i miei genitori e i miei tre fratelli negli anni '80 a bordo di un vecchio furgone e una roulotte. L'alternativa sarebbe stata quella di trasferirci in un altro paese per un po' di tempo per apprendere una nuova lingua. Ho passato ore e ore a fare ricerche e a cercare di trovare un modo per dare una svolta alle nostre vite, ma senza riuscirci.  

Poi sono arrivati i periodi di lockdown dovuti al Covid. Tom smette di fare il pendolare a Melbourne, tutte le attività di doposcuola e di fine settimana vengono interrotte, quasi tutti i miei lavori di fotografa svaniscono nel nulla. È a questo punto che ci ritroviamo a giocare ai giochi da tavolo con i bambini, a trascorrere svariate ore ad allenarci nel parco nazionale locale, a ridurre i costi ovunque riuscissimo e a darci da fare per semplificare le nostre vite.

Sembra tutto così bello. Il sollievo è immenso. Finalmente riusciamo a respirare: sì, mi riferisco proprio a quella sensazione che quasi certamente avrai provato anche tu. Che modo bizzarro di fare spazio per riflettere su dove siamo e come vogliamo che siano gli anni che ci attendono.

Ecco, aspiravamo a una vita semplice con tante ore a disposizione per entrare in connessione gli uni con gli altri e partire all'avventura. Prima del Covid avevamo già iniziato a valutare l'idea di trasferirci in Nuova Zelanda per stare con la mia famiglia, soprattutto perché mamma e papà se n'erano andati e mia nonna, a me molto cara, era già parecchio anziana.

Avevo letto qualcosa sul Te Araroa. Questo percorso dava l'idea di essere davvero complicato; non avevo idea se ce l'avremmo fatta, ma la paura e l'eccitazione erano talmente smisurate che non riuscivamo ad abbandonare questa idea. Abbiamo iniziato così a fare delle ricerche e ci siamo subito resi conto che mancavano solamente pochi mesi per iniziare l'escursione, altrimenti avremmo dovuto aspettare un altro anno.

Questo scoglio in realtà ci ha aiutato a prendere rapidamente la decisione di lasciare il nostro lavoro, vendere tutte le nostre cose, prenotare la quarantena in hotel e i visti e radunare tutta la nuova attrezzatura di cui avremmo avuto bisogno... Non avevamo mai fatto un'escursione notturna in famiglia prima di allora.

D: In che modo la tua carriera di fotografa ha plasmato il modo in cui coesisti, percepisci e interagisci con il mondo naturale? 

R: Molti fotografi sono introversi: stare dietro l'obiettivo è un bel modo per essere parte di qualcosa senza coinvolgersi oltre il necessario. Sono convinta che in me convivano un'anima introversa e un'altra anima estroversa.

Gli altri mi trasmettono energia, ma ho anche bisogno di tempo per stare da sola. La fotocamera è diventata per me un modo per stare nel mondo, partecipandovi in modo discreto mentre osservo la luce e le interazioni che orbitano attorno al soggetto. È questo lo scenario che mi avvolge mentre premo il pulsante di scatto, sorrido e chiacchiero, per poi fuggire dietro l'obiettivo quando ho bisogno di spazio. 

Amo l'imperfezione e le pause tra i momenti, il movimento e l'emozione. Vorrei tanto che il mondo si rendesse conto di quanto affascinante sia l'imperfezione e che la perfezione, in realtà, è noiosa e fittizia.

Spettinarsi i capelli, essere orgogliosi delle proprie cicatrici e delle proprie lacrime, degli strappi nei vestiti, delle croste sulle ginocchia. Questa lezione, che poi è la più bella, può essere appresa soltanto facendo parte di una comunità di escursionisti. 


D: Cos'è che ti fa pensare che le avventure e i viaggi all'aria aperta diventano unici se vissuti in famiglia? Credi che il tuo viaggio abbia un impatto positivo sulla tua famiglia e, in particolare, sui tuoi figli? 

A: Ho parlato del rallentamento e della semplificazione che abbiamo vissuto durante i lockdown. Ovviamente c'era anche il caos. Abbiamo ampiamente fallito con le lezioni da casa e siamo stati messi davvero a dura prova dalla "convivenza forzata", perché prima eravamo abituati ad avere il nostro spazio e i nostri mondi.

La magia delle avventure all'aria aperta in famiglia è che si impara a sentirsi a proprio agio e a stare bene gli uni con gli altri. Tolleranza. Si arriva a conoscersi molto bene, forse un po' troppo!  Il sentiero, poi, è stato ideale per creare quella connessione speciale di cui parlo.

Si cammina insieme per buona parte della giornata e, con il ritmo dei passi e il contatto visivo limitato, la conversazione va da sé. Gli alti e bassi sono soggettivi, ma vengono condivisi e mitigati. Il tempo per se stessi al momento del bisogno c'è sempre, dopodiché basta riaggregarsi al gruppo non appena ci si sente pronti a conversare e a ristabilire il contatto.

R: Le cose sono cambiate tra di voi dopo il viaggio? Le esperienze condivise, i ricordi e la passione condivisa vi hanno resi più compatti al punto da continuare a esplorare la vita all'aria aperta tutti insieme?

R: Sono passati quasi due anni da quando la nostra avventura è terminata e da allora non ci siamo mai fermati. Tanti bassi causati dal ritmo incessante della vita ordinaria: lavoro, scuola, compiti, faccende domestiche e attività di vario tipo.

La ricerca della propria identità da parte dell'adolescente è già di per sé molto impegnativa; figurarsi, poi, se a ciò si aggiungono traumi e trasferimenti in altri luoghi.

Per tutti noi la ricerca di nuovi legami e di un solido senso di appartenenza richiede tempo. Ci stiamo ancora ambientando e impegnando a trovare la nostra strada. Ma al netto di tutto questo, ci sentiamo ancora appagati dal tempo passato insieme là fuori, dai momenti trascorsi a condividere un pasto e una partita a carte.

Se riportiamo alla mente il modo in cui ci siamo sentiti lungo il sentiero, possiamo rivivere le storie e la tenerezza che ci auguriamo di non perdere mai.  

 

Speriamo che questa intervista esclusiva con Deanna Gerlach ti sia piaciuta. 

Se vuoi saperne di più sulla collaborazione di Sea to Summit con la famiglia Gerlach, guarda il video di lancio completo cliccando qui.

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